lucia triolo: città liquida

Nella città vive un’ attesa liquida
e la conosco.
Anche la città è liquida:
si perde in trasparenze
tra rami spogli. 
Gocce si posano sulle labbra socchiuse
da lì nascono alberi e case.

Mai stati uomini,

solo un’attesa a stellarsi in speranza
a modularsi in memoria
Finestrelle di abbandono nel muoversi
delle mani che ha la gente.

Spiragli di risvegli nel roteare degli occhi.
negli sguardi socchiusi indagatori
Pensieri a perdersi nelle parole regalate e nei silenzi
quando si accaniscono tra i denti.
Tutto è sospeso nell’istante!

E quest’attesa non è balorda, 
non ha rubato le chiavi del cancello dell’orto
Non mangia a sbafo.
Fa il pelo e il contropelo a prudenze imbroglione e calcolati rischi

E’ attesa vera,
come vera è la polvere di quel mucchietto d’ore
che tenevo lì sul cassettone

Umanità di Delfin Prats

Delfín Prats Pupo è un poeta e traduttore cubano nato il 14 dicembre 1945 a La Cuaba, nella provincia di Holguín, noto per la sua voce poetica raffinata e l’uso singolare della metafora.

C’è un luogo chiamato umanità,
un bosco umido dopo la tempesta,
dove il sole abbandona il frastuono del combattimento;
una fonte, un ruscello, una mattina aperta dal paese
che va verso i campi in groppa a un asinello.

C’è un amore diverso, un volto che ci guarda da vicino,
chiede della nuova stagione della semina
e inventa un tempo diverso per il canto,
un bisogno di rifare ogni cosa da capo,
anche le più semplici:
lavarsi al mattino, cullare il bambino quando piange,
o inchiodare la cassa del nonno,
sorridere quando qualcuno ci chiede
il perché della povertà dell’estate e, senza parlare,
andare nel bosco a prendere legna per ravvivare il fuoco.

C’è un posto sereno, ritrovato e dolce,
un luogo chiamato umanità.

*

Umanità di Delfin Prats

Prego per la poesia (per Andrea Zanzotto) di Antonio Porta

Antonio Porta (1935 – 1989), pseudonimo di Leo Paolazzi, è stato uno scrittore, poeta e critico letterario italiano.

Prego che la poesia
forte e pietrificata
in passato e futuro
voglia sgorgare adesso liquida
musica su da un pozzo inesauribile
(fin che l’uomo abiti la terra)
e questo scorrere sorgivo e antico
passa dal filtro mio
ma è poi di tutti,
insieme ci mettiamo in ascolto.

Da Yellow, Mondadori.

*

Prego che la poesia (per Andrea Zanzotto) di Antonio Porta

Si cammina sul filo degli anni di Diego Valeri

Diego Valeri (1887 – 1976) è stato un poeta italiano noto per le sue opere che esplorano la natura e l’esperienza umana, con una particolare attenzione ai temi della vita e della morte.

Si cammina sul filo degli anni

da esperti funamboli.

È un difficile andare ma si va.

E intanto il mondo, attorno,

muta faccia e colore. Senza posa

ogni creata cosa

in poco d’ora ci diventa strana.

E con le cose ci mutiamo noi,

d’oggi in domani.

Solo sta fermo nel fondo di noi

quel nostro tempo primo,

l’infanzia, all’ombra della madre,

sotto il crocifisso piccolo di avorio.

*

Si cammina sul filo degli anni di Diego Valeri

Questa stanza di John Ashbery

John Lawrence Ashbery, (1927 – 2017) è stato un poeta statunitense. Una sua corposa antologia è stata pubblicata in Italia nel 2008 da Luca Sossella Editore, con il titolo Un mondo che non può essere migliore e la traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan. 

This Room

The room I entered was a dream of this room.
Surely all those feet on the sofa were mine.
The oval portrait
of a dog was me at an early age.
Something shimmers, something is hushed up.
We had macaroni for lunch every day
except Sunday, when a small quail was induced
to be served to us. Why do I tell you these things?
You are not even here.

Questa stanza

La stanza in cui entrai era il sogno di questa stanza.
Certo tutti quei piedi sul sofà erano miei.
Il ritratto ovale
di un cane ero io in piú tenera età.
Qualcosa riluce, qualcosa viene azzittito.
A pranzo mangiavamo pastasciutta tutti i giorni
tranne la domenica, quando una quaglia veniva indotta
a esserci servita. Perché ti dico questo?
Nemmeno sei qui.

*

da Shadow Train [Treno ombra], 1981

Questa stanza di John Ashbery

Il Palombaro di Corrado Govoni

Il palombaro è una poesia visiva di Corrado Govoni ed appartiene alla raccolta Rarefazioni e parole in libertà (1915).

alghe vermi verdi

cordone ombelicale
lunga lenza

burattino per il teatro muto dei pesci
acrobata profondo
spauracchio

becchino mascherato che ruba cadaveri di annegati

uomo pneumatico
assassino ermetico

accetta boia sottomarino

attinia

ceppo insanguinato dove lasciarono i capelli serpini le sirene decapitate

innaffiatoio
incudine

oloturia
sacco verminoso di conciaiuolo

primavera metallizzata dei coralli

ostriche cofani di sputi e di perle

medusa
ombrello di mendicanti
giostra fosforescente di cavallucci marini

cavallino indomabile
esca

stella carnivora…

*

Il palombaro di Corrado Govoni

Il devoto di José Watanabe

José Watanabe (1946–2007) è stato un poeta peruviano di origini giapponesi e andine. La sua poesia unisce semplicità e profondità, spesso ispirata dalla natura e dalla saggezza orientale. È considerato una delle voci più originali della poesia latinoamericana contemporanea.

In questa profonda
volta di cattedrale, ieratici
come una triste squadra di stuccatori,
i santi attendono il restauratore.
Su un altare dopo l’altro,
si sono deteriorati, attaccati da mosche,
tarme e abusi
di fede.
Qui non sono più San Francesco, San Valentino, San Giuda –
chiunque è chiunque –
grumi umani, sfigurati e senza nome, in attesa
del vecchio restauratore
morto da tempo.
Questi santi anonimi
che furono pregati, celebrati, contemplati
con infinita devozione,
ora sono i miei santi. Qui sono l’unico fedele e il prelato.
Mi inginocchio davanti a loro
e prego con più solidarietà che fede.

*

Il devoto di José Watanabe

Alla deriva di Salvatore Toma

Salvatore Toma nasce l’11 maggio 1951 a Maglie, in provincia di Lecce. Inizia a scrivere fin da giovanissimo, pubblicando le sue prime raccolte con case editrici minori. Negli anni Ottanta la sua poesia inizia a circolare presso un pubblico più esteso grazie all’interessamento di Maria Corti che, dopo averne promosso la pubblicazione su «Alfabeta», curerà l’antologia Canzoniere della morte, uscita postuma nel 1999, divenendo rapidamente un caso letterario. Muore a trentacinque anni, il 17 marzo del 1987, probabilmente a causa della cirrosi epatica. Nel 2020 Musicaos ha pubblicato il volume Poesie (1970-1983) in cui si raccolgono le sei opere poetiche edite in vita: Poesie. «Prime rondini» (1970), Ad esempio una vacanza (a Babi) (1972), Poesie scelte (1977), Un anno in sospeso (1979), Ancóra un anno (1981), Forse ci siamo (1983).

Alla deriva

c’è soprattutto il mare

il mare vero

l’annientante malinconia

delle alghe morte

alla deriva

ci sono sogni della sera

le ultime voci

dei fondali profondi.

Non posso esser vivo

e ricordare i morti

non voglio esser vivo

se devo ricordare i morti

da vivo non si vive

se ci accompagnano i morti

e l’ossessione della loro

esistenza.

Alla deriva

c’è invece il mare

il mare aperto infinito

alla deriva

c’è finalmente la vita

filtrata digerita

c’è la leggerezza

del corpo vuoto.

Alba ad Atene di Marco Antonio Campos

Marco Antonio Campos (nato nel 1949 a Città del Messico) è un poeta, narratore, saggista e traduttore messicano. Le sue opere esplorano temi di memoria, amore e perdita, con uno stile lirico e riflessivo. Ha ricevuto numerosi premi letterari e tradotto importanti poeti europei, tra cui Baudelaire e Rimbaud.

La notte scorsa, nel giardino dei sogni,
ti ho visto:
eri nelle rovine e negli archi

Oggi, quando mi sono svegliato,
ho guardato fuori dalla finestra
e tra le rovine e gli archi
c’era una fontana
di uccelli.

*

Alba ad Atene di Marco Antonio Campos

Ben in fondo di Paulo Leminski (traduzione di Emilio Capaccio)

Paulo Leminski (Curitiba, 1944–1989) è stato un poeta, scrittore e traduttore brasiliano, figura di spicco dell’avanguardia poetica degli anni ’70.
Influenzato dal concretismo e dalla cultura pop, ha saputo unire rigore formale, umorismo e sperimentazione linguistica.
La sua produzione, intensa e multiforme, continua a esercitare un forte impatto sulla poesia contemporanea brasiliana.

In fondo, in fondo

ben in fondo,

vorremmo

vedere i nostri problemi

risolti per decreto

.

a partire da tale data,

quel malessere senza rimedio

sarebbe considerato nullo

e su di esso — silenzio perpetuo

.

estinto per legge ogni rimorso,

maledetto chi guarderà indietro,

lì dietro non c’è niente

più niente

.

ma i problemi non si risolvono

i problemi hanno una famiglia grande,

e la domenica

escono tutti a passeggio

il problema, la sua signora

e gli altri piccoli problemini.

*

Ben in fondo di Paulo Leminski (traduzione di Emilio Capaccio)

lucia triolo: tu vegli

tu vegli
nella grande apertura del tuo sguardo 
ogni tanto
capita di aver qualcosa
da dire al giorno

qualcosa di notturno
si incaglia mentre sceglie 
il tono: 

mai credere del tutto
in quel che pensi
nella grande apertura dello sguardo,
mai pensarlo sul serio

non addurre a pretesto la veglia:
c’è un segreto caldo 
nella notte

la lingua di partenza della veglia
non è la lingua di arrivo nel giorno  

Ce n’è uno che ha i miei occhi di Elisa Biagini

Autrice tradotta all’estero, Elisa Biagini ha vissuto a lungo negli Stati Uniti e ha portato nella poesia italiana un respiro internazionale. I suoi versi sono scarnificati, intensi, quasi tattili. Libri come Nel bosco e Da una crepa parlano di assenze, distanze, maternità. Insegna scrittura e continua a formare nuove generazioni di autrici.

C’è uno che ha i miei occhi

li strizza come spugna dopo

i piatti, li tira come lenzuoli,

li incastra a fermare le porte

e da qui ogni passaggio

è amaro, come di un vento

che ti soffia dritto in bocca.

Es ist einer, der hat meine Augen

*

Ce n’è uno che ha i miei occhi di Elisa Biagini

Alba viola con fabbriche di Joan Vinyoli

Joan Vinyoli (1914 – 1984) è stato un poeta spagnolo. Autodidatta, ha iniziato a lavorare a 16 anni nell’editoria e ha pubblicato il suo primo libro di poesie, Primer desenllaç, nel 1937. La sua opera si distingue per una evoluzione dal simbolismo e dal romanticismo tedesco a una poesia di tono più realistico-esistenziale: ricorrenti nei suoi versi sono la memoria, il tempo che fugge e l’indagine interiore.

Morire, dormire,

non so come affrontare il giorno nuovo

Giornata fredda

moncone viola, io senza appetito,

con la pipa che pende dalla mia bocca da pescatore arreso.

Ci vuole molto coraggio

ad affrontare un

un’ora fragile che si alza.

Di tutti, il primo, il più difficile,

che poi ci ci abitueremo.

.

Al mercato delle macchine: abbiamo visto

la giornata a pezzi, ogni tavola asciutta,

dalle montagne viene pallore;

lo prendiamo,

lo mettiamo sulle spalle

Non importa quanto siano larghe, tanto

da resistere al peso

che poi passa sopra di noi.

*

Alba viola con fabbriche di Joan Vinyoli

lucia triolo: cercavi forse i poeti?

Verità,
chi volevi rendere felice
con quella tua promessa
tra ingenuità e furbizia?

tieni insieme 
il senso e il non senso
nella casa 
quella di sempre piena d’ ombra,
quella dietro il tempo

e noi sempre diversi
dalla mattina alla sera a giocare
col tempo e a non capirlo

chi ti guarda
conosce la lingua dell’ iniquità
la nostra e quella dei nostri padri 
ne prende nota 
giorno per giorno.

Ma tu
cercavi forse i poeti? 

Città Zero di Angel Gonzàles

Ángel González (1925–2008) è stato un importante poeta spagnolo appartenente alla Generación del 50, noto per una poesia civile, ironica e profondamente umana.
Nato a Oviedo, visse la Guerra Civile da bambino e trasformò quell’esperienza in una voce poetica lucida e solidale.
Dal 1970 visse a lungo negli Stati Uniti come professore universitario, continuando a pubblicare opere fondamentali per la poesia contemporanea spagnola.

Una rivoluzione.
Poi una guerra.
In quei due anni, che erano
un quinto della mia vita,
avevo già sperimentato sensazioni diverse.
Ho immaginato più tardi
cosa significhi combattere da uomo.
Ma da bambino,
per me la guerra era semplicemente:
lezioni sospese,
Isabelita in mutande in cantina,
cimiteri di automobili ,
appartamenti abbandonati, fame indefinibile,
sangue trovato
per terra o sui selciati della strada,
un terrore che durava
quanto il fragile rumore del vetro
dopo un’esplosione,
e il dolore quasi incomprensibile
degli adulti,
le loro lacrime, la loro paura,
la loro rabbia soffocata,
che, attraverso una fessura,
entrava nella mia anima
solo per svanire poco dopo,
davanti a una delle tante
meraviglie quotidiane: il ritrovamento
di un proiettile ancora caldo,
l’incendio
di un edificio vicino,
i resti di un saccheggio,
carte e ritratti
in mezzo alla strada…
Tutto passò,
tutto è sfocato ora, tutto
tranne ciò che a malapena percepii
allora
e che, anni dopo,
riaffiorò dentro me, per sempre:
questa paura diffusa,
questa rabbia improvvisa,
questi imprevedibili
e genuini impulsi a piangere.

*

Città Zero di Angel Gonzàles

Il fidanzamento di Guillaume Apollinaire

Non ho più nemmeno compassione di me

E non so come esprimere il tormento del mio silenzio

Tutte le parole che avevo da dire si sono mutate in stelle

Un Icaro tenta di alzarsi fino ai miei occhi

E portatore di soli ardo al centro di due nebulose

Che cosa ho fatto alle bestie teologali dell’intelligenza

In passato i morti riapparvero per adorarmi

E io speravo la fine del mondo

Ma arriva la mia col sibilo d’un uragano

Ho avuto il coraggio di guardare indietro

I cadaveri dei miei giorni

Segnano la mia strada e li piango

Alcuni si putrefanno nelle chiese italiane

O in boschetti di limoni

Che fioriscono e insieme fruttificano

In ogni stagione

Altri giorni hanno pianto prima di morire in taverne

Dove fiori di fuoco rotavano

Negli occhi d’una mulatta inventrice della poesia

E le rose dell’elettricità s’aprono ancora

Nel giardino della mia memoria

Osservo il riposo domenicale

E lodo la pigrizia

Come come ridurre

L’infinitamente piccola scienza

Che m’impongono i sensi

Uno è simile alle montagne al cielo

Alle città al mio amore

Somiglia alle stagioni

Vive decapitato la sua testa è il sole

E la luna il suo collo mozzato

Vorrei provare un ardore infinito

Mostro del mio udito tu ruggisci e piangi

li tuono ti fa da chioma

E i tuoi artigli ripetono il canto degli uccelli

li tatto mostruoso m’ha penetrato m’avvelena

I miei occhi nuotano lontano da me

E gli astri intatti sono i miei àrbitri senza prova

La bestia dei fumi ha la testa fiorita

E il mostro più bello si desola

Nel suo sapore d’alloro

Alla svolta d’una via vidi dei marinai

Che a collo nudo ballavano al suono d’una fisarmonica

Ho regalato tutto al sole

Tutto meno la mia ombra

Le draghe le mercanzie le sirene mezzemorte

Sprofondavano nella bruma dell’orizzonte i trealberi

I venti spirarono coronati d’anemoni

O Vergine segno puro del terzo mese.

*

(a Picasso)

Il fidanzamento di Guillaume Apollinaire

La perdita di Adonis

Adonis, pseudonimo di Ali Ahmad Said Esber (nato nel 1930 in Siria), è uno dei più importanti poeti e saggisti del mondo arabo contemporaneo. Innovatore del linguaggio poetico arabo, ha unito tradizione e modernità attraverso una profonda riflessione sulla cultura e sull’identità. Esule in Libano e poi a Parigi, la sua opera esplora il rapporto tra poesia, libertà e spiritualità.

Perso, getto la mia faccia nella polvere,
e al mattino
la getto nella follia.
I miei occhi sono d’erba e di fuoco.
I miei occhi sono bandiere ed emigranti.

Perso, getto la faccia nella polvere
e nel mattino.
Sono nato alla fine della strada. Grido.
E lascio che la strada e la polvere gridino con me.

Quanto è bello che il mio volto, o Dio,
si perda in me! Quanto è bello che
io sia perduto, pieno di fuoco!
O tomba! O mia fine
all’inizio della primavera!

*

La perdita di Adonis

lucia triolo: un di più

C’era un di più per noi
in quei giorni
palindromi di noi stessi,
avevamo lasciato
che ci inchiodasse
l’un l’altro.

C’era lo strazio di tanta luce:
i silenzi e gli abbagli d’infanzia
un susseguirsi di odori
quei solchi dove trema la notte,

vi avevamo soggiornato con ignaro coraggio
e spavalderia
gli occhi spalancati sull’ ottovolante
di tepori viandanti.

Non volevamo
le parole dei grandi.

Forse il cuore di Salvatore Quasimodo

Salvatore Quasimodo (1901 – 1968)

Sprofonderà l’odore acre dei tigli
Nella notte di pioggia. Sarà vano
Il tempo della gioia, la sua furia,
quel suo morso di fulmine che schianta.
Rimane appena aperta l’indolenza,
il ricordo di un gesto, d’una sillaba,
ma come d’un volo lento d’uccelli
fra vapori di nebbia. E ancora attendi,
non so che cosa, mia sperduta; forse
un’ora che decida, che richiami
il principio o la fine: uguale sorte,
ormai. Qui nero il fumo degli incendi
secca ancora la gola. Se lo puoi,
dimentica quel sapore di zolfo
e la paura. Le parole ci stancano,
risalgono da un’acqua lapidata;
forse il cuore ci resta, forse il cuore.

*

Forse il cuore di Salvatore Quasimodo

lucia triolo: Avida diva

Cassetti
memorie, foto
e naftalina
nel maglione,
applausi sbrilluccicanti.

Il colore rosso
stava bene con i miei capelli.

Reggiseno strappato
da avide mani
di desiderio
ad aggrappare lo schianto

rotonde finezze
tatto fiorente
come chiavi girate
nel possesso

Brusco poi è stato il risveglio,
avidi di me soltanto gli anni
a strapparmi di dosso
il rosso dell’anima,
l’applauso scrosciante

Ora io non posso
che spazzare via il ricordo,
spezzare.

Non ho più monete da scambiare col tempo
Quel tempo che non posso
comprare
nemmeno in un cassetto

Paesaggio interno di Fran Bariffi

Fran Bariffi (nato a Azul, Argentina, nel 1998) è un giovane poeta e studente di Lettere presso la Universidad de Buenos Aires; pubblica e cura progetti editoriali con le realtà “Evasión” e “Pequeña Fortuna”. La sua prima raccolta poetica è intitolata El borde azul (Buenos Aires, 2024), in cui lavora sul linguaggio e l’identità con toni intimi, urbani e riflessivi.

Vedo alberi vecchi di 300 anni,
sagome di angeli e antiche scalinate in pietra
come nelle foto di Parigi o di qualche antica
città delle Ande.

È un piacere raro
sedermi alla mia scrivania e prendermi
dieci minuti per scegliere due parole,
assorbito dall’azzurro dell’aria
che passa dall’atmosfera alle mie dita
e rilascia il suo flusso come un fiume sulla carta.

E ogni volta che apro il quaderno
vedo la stessa porta,
la stessa cornice blu perla,
lo stesso corridoio che conduce allo stesso luogo senza tempo
in cui sono stato mandato
a giocare.

*

Paesaggio Interno di Fran Bariffi

Gabbiani di Vincenzo Cardarelli

Vincenzo Cardarelli (1887 – 1959), nato Nazareno Caldarelli, è stato un poeta, scrittore e giornalista italiano insignito del Premio Strega nel 1948.

Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.

*

Gabbiani di Vincenzo Cardarelli

Ultima canzone di Miguel Hernandez

Miguel Hernández (1910–1942) è stato un poeta e drammaturgo spagnolo nato a Orihuela. Autodidatta, ha unito nelle sue opere lirismo pastorale e impegno politico, partecipando attivamente alla Guerra Civile Spagnola al fianco dei repubblicani. Morì in prigione sotto il regime franchista, lasciando un’eredità poetica intensa e tragica.

Dipinto, non vuoto:

la mia casa è dipinta

del colore di grandi

passioni e disgrazie.

Ritornerà dal pianto

dove è stata portata

con la sua tavola deserta,

con il suo letto rovinato.

I baci sbocceranno

sui cuscini.

E intorno ai corpi

solleverà il foglio

la sua vite intensa

notturna, profumata.

L’odio è smorzato

dietro la finestra.

Sarà l’artiglio morbido.

Dammi speranza.

*

Ultima canzone di Miguel Hernàndez

Il piccolo contrabbandiere di Henryka Łazowertówna (traduzione di Paolo Statuti)

Henryka Łazowertówna (1909–1942) fu una poetessa polacca appartenente alla generazione tra le due guerre, nota per uno stile delicato e intimamente lirico. Studiò filologia polacca all’Università di Varsavia e partecipò attivamente alla vita letteraria della capitale. Collaborò con riviste e antologie, distinguendosi per poesie che univano sensibilità moderna e attenzione per la fragilità umana. Durante l’occupazione nazista visse nel ghetto di Varsavia, dove continuò a scrivere e a lavorare per l’organizzazione di aiuto sociale Żegota.Fu deportata e uccisa a Treblinka nel 1942, lasciando un’opera breve ma molto intensa, tra cui è celebre la poesia “La piccola strega” (Mała stacja) dedicata agli orfani del ghetto.

Oltre i muri, i fori, tra le guardie,

Oltre i fili, il recinto, di soppiatto,

Affamato, spavaldo, testardo,

Ogni giorno corro come un gatto.

.

Non importa il tempo che fa,

Con l’afa, la pioggia, la tempesta,

Cento volte io metto a rischio

Questa mia giovane testa.

.

Sotto il braccio un rozzo sacco,

Sulle spalle l’abito strappato,

Le mie giovani agili gambe

E il cuore sempre spaventato.

.

Ma tutto bisogna patire,

Tutto bisogna sopportare,

Perché voi abbiate domani

Quanto pane vorrete mangiare.

.

Oltre i muri, i fori, i mattoni,

Di notte, all’alba, di nuovo

Spavaldo, affamato, scaltro,

Come un’ombra mi muovo.

.

Se il destino a un tratto

Mi fermerà in questo dramma,

E’ il solito agguato della vita,

Non aspettarmi più, o mamma.

.

Io non tornerò più da te,

La mia voce non sentirai vicino,

La polvere della strada seppellirà

La sorte spezzata di un bambino.

.

E soltanto una preghiera,

Una smorfia sul viso rimane:

Chi mamma mia, domani,

Ti porterà un po’ di pane?

*

Poesia scritta nel ghetto di Varsavia

(Trad. di Paolo Statuti)

Il piccolo contrabbandiere di Henryka Łazowertówna (traduzione di Paolo Statuti)

In quella notte di Novembre,Gabriella Paci

25 NOVEMBRE PER DIRE NO ALLA VIOLENZA DI GENERE

Di te resta il volto fanciullo :

sotto il basco lo scuro caschetto

 e il sorriso aperto ai domani

nel dondolare sulle ciglia di sogni

appesi sul  filo verde delle aspettative.

Nel cassetto la tesi; ultimo passo

per festeggiare una meta raggiunta

e i fumetti disegnati con il colore

della gioia e della fantasia del volo.

Volavi,piccola Giulia, verso il futuro

con la levità dei tuoi anni acerbi

mentre tessevi tra le dita la vita

con la trama dei passi in corsa.

Poi quel giorno di novembre

sordo al tuo grido sotto

 l’occhio cieco della notte

qualcuno che tu avevi amato 

è arrivato al cuore.Non era

carezza nè  gesto d’amore:

 era punta d’acciaio a tagliare

il tuo stelo di fiore in boccio

là sull’asfalto algido che

ti fu ultimo giaciglio.  (dedicata a Giulia Cecchettin)

lucia triolo: abito da sera

Il ponte sul nulla ora è in abito da sera                                         
crespo
l’ignavia
sta a guardare
una donna violentata
tenere in pugno i suoi ragli 
di asina scuoiata
mentre la parola diventa macigno                                            
urlante
dentro il suo occhio

la città si accarezza
fornicando i nervi

stormi di Pilato
si lavano le mani.